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Un mio commento sul Semestre di Presidenza Italiana: “la strada stretta di Bruxelles”.

Pubblicato su l’ Unità

È cominciato in salita il semestre italiano di presidenza Ue. Dopo le aperture contenute nel documento programmatico (l’Agenda Strategica) approvato nell’ultimo Consiglio europeo, sono arrivate le prime pesanti reazioni negative dei rigoristi ad oltranza, in prima fila tedeschi. Siamo solo agli inizi di un confronto che si preannuncia molto aspro e che interesserà nei prossimi mesi le nuove Istituzioni europee. L’esito, tutt’altro che scontato, sarà decisivo per le sorti della nostra economia e delle sue riforme. Non è certo retorico affermare che un rinnovato modo di interpretare le regole europee, e che sia finalizzato alla crescita, serva oggi non solo all’Italia, ma anche e soprattutto all’Europa. Dopo sei anni di crisi, a una ritrovata stabilità dei mercati finanziari si associano condizioni a dir poco drammatiche della stragrande maggioranza delle economie dell’area euro, con oltre 27 milioni di disoccupati. Ed è opinione diffusa che la fragile ripresa in corso riuscirà a incidere poco o niente su questo stato di grande disagio. A preoccupare di più, a dispetto dell’ottimismo di alcuni, è che nelle condizioni attuali l’area dell’euro sia destinata a un prolungato ristagno, che finirebbe per minacciare la sostenibilità degli stock di debito di svariati Paesi, col rischio di spingere al default molti di essi.
Nessun dubbio, così, sulla necessità di una svolta profonda in Europa. Per tornare a crescere serve un nuovo efficace compromesso a livello europeo tra consolidamenti fiscali, riforme strutturali e misure per la crescita. A questo riguardo, la flessibilità nell’applicazione del Patto di stabilità e crescita, su cui si è incentrata tutta l’attenzione mediatica in questi giorni, potrà certo tornare utile. Ma declinata all’interno dell’esistente intelaiatura di regole – come ribadito dal nostro e altri Governi – si potrà tradurre al meglio in uno scambio tra più tempo per il rispetto delle regole di bilancio e riforme serie e di ampia portata realizzate dai singoli Paesi. Altre misure di flessibilità, di cui oggi si parla, quale lo scorporo di investimenti più o meno selettivi, sarebbero certo utili ma difficilmente applicabili senza il consenso di tutti i Paesi a andare al di là delle regole che già esistono.
Ma è evidente che solo più tempo non sarà sufficiente per una più forte ripresa. È necessario favorire, da un lato, massicci investimenti pubblici e privati (150-180 miliardi annui) a livello europeo – dopo sette lunghi anni di loro declino – finanziati ricorrendo a più fonti. E dall’altro, in chiave di sostegno alla domanda interna europea, applicare su base più simmetrica di quanto fatto finora le regole indirizzate all’aggiustamento dei deficit e surplus correnti, imponendo finalmente anche alla Germania – dopo anni di infrazioni – la riduzione dell’enorme avanzo commerciale accumulato (7 punti del Pil).
Solo agendo su più fronti e con politiche di sistema – come quelle prima indicate – si può sperare di rafforzare l’anemica espansione in corso. Una strada in salita, però, dal momento che non è affatto scontato che i governi europei vogliano muoversi in direzione del cambiamento e una maggiore coesione. Dai dibattiti di questi giorni si è intuito che solo pochi hanno percepito l’allarmante distacco tra l’Europa e i suoi cittadini segnato dalle elezioni dello scorso 25 maggio. L’insediamento nei prossimi sei mesi del Parlamento europeo, Commissione e Consiglio rappresenta, comunque, per la presidenza italiana un’opportunità unica di promuovere un approfondito confronto tra governi e nuove Istituzioni europee per cercare di disegnare una nuova Agenda europea per i prossimi cinque anni.
Bisognerà cercare di sfruttarla appieno in quanto per le sorti della nostra economia l’esito del confronto europeo è per molti aspetti decisivo. Lo si intuisce dai dati negativi sul Pil diffusi finora dall’Istat e che lasciano intravedere un sostanziale ristagno nel primo semestre di quest’anno. Probabilmente una nuova manovra non sarà necessaria, ma serviranno a ottobre per la legge di stabilità oltre venti miliardi di euro per raggiungere il sostanziale pareggio di bilancio nel 2015, come confermato dall’ultimo vertice del Consiglio europeo, unitamente al finanziamento strutturale del bonus da 80 euro elargito a partire da maggio di quest’anno. Un ammontare di risorse cospicuo e davvero impegnativo se confrontato con manovre del passato. A quel punto sarebbe decisivo riuscire a ottenere margini di flessibilità nelle regole, ovvero più tempo per tagliare deficit e/o debito. Il che rimanda al percorso di riforme strutturali dell’economia che saremo riusciti a attuare di qui all’autunno che rappresenterà la fondamentale carta di scambio per una decisione favorevole della nuova Commissione. È questo, in definitiva, il corridoio stretto di fronte oggi all’Italia e alla sua presidenza del Consiglio Ue.