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Un mio commento su bonuf fiscale e Def presentati dal Governo

senator

Pubblicato su l’Unità

Nel decreto del governo presentato ieri, dai contenuti fortemente eterogeni, spicca l’intervento di bonus Irpef di 80 euro a favore di milioni di lavoratori con basso reddito finora fortemente penalizzati dalla crisi, che rappresenta una misura assai importante in chiave redistributiva. L’impatto economico si profila, tuttavia, assai modesto, anche per le coperture utilizzate che a una prima lettura destano qualche perplessità.
Il rischio da evitare è che finiscano per offrire scarso supporto alla credibilità e sostenibilità della manovra più ampia prospettata nel Documento di economia e finanza approvato dal Parlamento giovedì scorso.
La fase recessiva dell’economia italiana si è chiusa nella seconda parte del 2013, com’è scritto nella sezione del Def relativa al programma di stabilità, e per l’anno in corso si prevede una ripresa del Pil stimata intorno allo 0,8%, destinata a irrobustirsi moderatamente nel corso del 2015 (1,3%). Sono numeri che rivelano tutta la modestia della dinamica di espansione in corso. Tenuto conto dei crolli dell’attività produttiva e dell’occupazione in questi ultimi cinque anni di crisi, non si può certo sperare di recuperarli attraverso una ripresa di così basso profilo. Ecco perché l’obiettivo di rafforzare significativamente la ripresa in corso, per cercare di trasformarla in una vera fase di crescita stabile e sostenuta, figura in cima alla lista delle priorità che la politica economica del governo si prefigge di perseguire – com’è scritto nel Def – a partire dalle misure varate ieri. Anche perché la compresenza di un alto debito pubblico e di una bassa crescita resta il problema di fondo della nostra economia. E per non ripetere gli errori delle politiche di austerità a tutto tondo degli ultimi anni l’unica strada è il rilancio a pieno ritmo della crescita, approfittando di un contesto internazionale che da anni non si presentava così favorevole.
Per irrobustire la ripresa e ricostruire un percorso di crescita sostenuta è necessario agire in due direzioni: interventi a breve termine utili a fornire un sostegno sul piano macroeconomico alla domanda aggregata (consumi e investimenti di persone e imprese) e gli altri in grado di incidere più a medio periodo sulla capacità di offerta, le tanto citate riforme di struttura che devono migliorare produttività e competitività, accrescendo il prodotto potenziale della nostra economia. Solo così si potrà conseguire un vero e duraturo rilancio dell’occupazione.
È un percorso che si ritrova in qualche misura nel programma del Def del governo che punta, da un lato, su misure di cauto sostegno alla domanda e, dall’altro, su un ampio numero di interventi strutturali, a partire dalle riforme istituzionali. La lista in quest’ultimo caso è lunga, forse troppo, ma la si potrebbe sintetizzare così: alcuni sgravi fiscali subito, un taglio consistente delle spese pubbliche crescente nel tempo (spending review), delle riforme strutturali importanti poi. Il rigore dei conti pubblici è visto in questo quadro come un vincolo più che – com’è stato in passato – un obiettivo prioritario da perseguire e a cui subordinare tutto il resto. Tant’è che è posto al centro di uno scambio con l’Europa: una deviazione temporanea – un anno più di tempo – dagli obiettivi di pareggio di bilancio di finanza pubblica, per non compromettere la debole ripresa in corso, da compensare con la maggiore crescita generata dagli interventi e dalle riforme strutturali programmati.
Ovviamente l’esito positivo di un tale scambio dipenderà innanzi tutto dall’Europa che dovrà dimostrare una reale flessibilità nell’applicazione delle politiche di aggiustamento. Ma anche il nostro governo dovrà fare la sua parte dimostrandosi credibile sia nelle misure prospettate sia nella loro realizzazione. Le scelte concrete, in altre parole, devono essere in grado ad un tempo di incrementare la crescita potenziale dell’economia e assicurare equilibrio nei conti pubblici, non sottovalutando il tema delle coperture finanziarie a fronte degli interventi da attuare.
Ma qui nascono i primi problemi. Innanzitutto nel Def appena approvato. Come sostenuto dalla Banca d’Italia e dalla Corte dei Conti qualche giorno fa, non è sostenibile che i proventi attesi di revisione della spesa riescano a finanziare tuti gli interventi governativi in programma (dallo sgravio dell’Irpef, all’aumento previsto delle entrate, agli esborsi dei programmi non inclusi a legislazione vigente, fino alla clausola di salvaguardia dell’ultima legge di stabilità). In altre parole i conti potrebbero non tornare ed è vano sperare che a Bruxelles non se ne accorgano. Il che potrebbe indebolire la posizione del governo nel negoziato decisivo che si svilupperà nelle prossime settimane con la Commissione europea sulla richiesta di scostamento temporaneo dall’obiettivo di pareggio strutturale dei nostri conti pubblici. In questa prospettiva il decreto varato ieri e le sue modalità di copertura certo non aiutano a aumentare la credibilità e sostenibilità dell’insieme di misure di politica economica prospettate. Resta l’alto valore di equità redistributiva dell’intervento. Ma sul resto, i dubbi e le preoccupazioni è auspicabile siano presto fugate.