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L’Europa e la necessità di una svolta della politica economica

Pubblicato su l’Unità

Gli elettori tedeschi si sono espressi ma il risultato al di là del grande successo e della riconferma di Angela Merkel, si presenta molto incerto. Il partito Cristiano-democratico della Merkel potrebbe conquistare la maggioranza assoluta dei seggi ma la combinazione più probabile, al momento di scrivere, è una riedizione della grande coalizione tra Cdu e Spd. La stessa che aveva governato nella legislatura che ha preceduto quella appena conclusa.  A questo riguardo è difficile ovviamente fare delle previsioni, in presenza ancora di tante incertezze. Qualche considerazione si può comunque svolgere con riferimento alle speranze espresse da molti in Europa che un nuovo governo di grande coalizione – nel caso dovesse formarsi – possa avere una visione dell’Europa e dell’euro molto meno dogmatica di quella prevalsa finora e che possa portare addirittura a una riscrittura dell’Agenda europea. È un’ipotesi, in realtà, che alla luce di questi risultati appare di difficile realizzazione. In altri termini, è assai improbabile che si possa produrre, almeno in tempi brevi, una nuova forte spinta verso un più avanzato progetto europeo. Mutamenti di qualche significato è più probabile che si producano in Germania sul fronte domestico. Proprio a partire dai temi dell’economia, che hanno pesato molto sul risultato elettorale – come peraltro in campagna elettorale – e sono destinati ad avere un grande spazio nell’azione del nuovo governo tedesco.
Le sfide economiche da affrontare sul piano interno sono davvero impegnative. Certo, la Germania rappresenta oggi l’economia di gran lunga più potente d’Europa. La sua capacità industriale e la performance delle sue esportazioni non sono secondi a nessuno. Il tasso di disoccupazione (5,3 per cento) è il più basso, dopo quello dell’Austria, nella zona euro. Ma non meno importanti – pur se meno conosciuti – sono alcuni suoi punti deboli, accentuatisi nell’ultimo decennio.
Anni di bassi investimenti pubblici nelle infrastrutture, come strade e ferrovie, e nello stock di capitale privato, hanno fortemente abbassato il già modesto tasso di crescita potenziale dell’economia tedesca (è oggi intorno all’1,25 cento). Il dato è preoccupante anche alla luce della crescente carenza di manodopera che si sta profilando in Germania per l’invecchiamento della popolazione e una forza lavoro in calo. Oltreché lenta, la crescita tedesca ha premiato in questi anni in modo sproporzionato i ceti più ricchi. Per non parlare dei troppi lavori marginali a bassissima retribuzione che sono nati in questa fase in Germania.
È prevedibile dunque che il nuovo governo, chiunque esso sia, sia spinto a concentrare la propria azione in misura predominante su questi problemi interni, per cercare di intervenire sulle diffuse inefficienze economiche, le disparità di reddito, la crescente povertà nazionale e le tensioni sociali che queste tendenze stanno producendo.
E sul fronte europeo? «Quello che va bene per l’Europa, va bene per la Germania», ha detto la Cancelliera Merkel chiudendo la campagna elettorale. Il problema tuttavia è che l’Europa avrebbe bisogno di una svolta a dir poco radicale della politica economica condotta fin qui, incentrata – com’è noto – su una linea di severa austerità che si è rivelata disastrosa per molti paesi, incluso il nostro. I cambiamenti si imporrebbero su due fronti almeno: quello del processo di integrazione economica, a partire dall’unione bancaria, e l’altro delle politiche per la crescita. Sul primo fronte la Germania ha continuato finora ad opporsi su aspetti qualificanti del meccanismo unico di risoluzione, una componente fondamentale del progetto di unificazione bancaria. In tema di crescita, Berlino ha più che altro frenato la creazione di meccanismi di coordinamento più simmetrici delle politiche economiche nazionali, come anche sull’ipotesi di un autonoma capacità fiscale e di investimento dell’eurozona.
Una serie di freni e cautele del governo tedesco destinate a perpetuarsi e che rendono altamente improbabile una vera e propria svolta nella politica verso l’Europa. Essi derivano in effetti dalla necessità per il futuro governo di evitare decisioni oggi troppo difficili da far digerire ai cittadini elettori tedeschi. La grande maggioranza dei tedeschi è convinta – perché così è stato loro fatto credere in questi anni – che la politica condotta fin qui dalla Germania si sia spinta già molto in là sul piano della solidarietà agli altri partner dell’area euro, a partire dai paesi più indebitati. Di conseguenza, ritengono che qualunque concessione ulteriore debba avvenire solo sul piano della più stretta condizionalità, il che implica imporre agli altri Paesi regole e procedure sempre più vincolanti. In una tale prospettiva la sopravvivenza dell’euro verrebbe comunque garantita, ma il futuro dell’euro zona sarebbe sempre più caratterizzato da un sostanziale ristagno e da crisi ricorrenti dei paesi della periferia più indebitati, da fronteggiare eventualmente con iniziative e decisioni ad hoc prese all’ultimo minuto. Qualcosa di già visto in altre parole.