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La crisi politica e i costi dell’instabilità

bce

Pubblicato su l’Unità

Se Berlusconi e il Pdl decideranno di incrociare le sorti dell’esecutivo con le vicende giudiziarie del loro leader non solo apriranno una crisi politica dagli sbocchi imprevedibili ma si accolleranno la responsabilità di soffocare sul nascere ogni possibile speranza di ripresa economica. Con riflessi pesantemente negativi per tutti i cittadini italiani e per l’intera area euro. La posta in gioco, dunque, è davvero alta. E non si tratta solo di timori ma pressoché di una certezza.
La conferma viene da una rapida fotografia, innanzi tutto, della fase che stiamo attraversando. I dati sulla produzione industriale e sul Pil dell’eurozona nel secondo trimestre 2013 hanno mostrato un deciso miglioramento, dopo sei trimestri di contrazione, la più lunga fase recessiva del dopoguerra. Nulla di epocale s’intende, ma una significativa inversione di tendenza. Certo la strada di una possibile e vera uscita dalla crisi è ancora lunga e dipenderà anche dalle politiche che verranno abbinate alla timida ripresa che si va profilando.
Una constatazione che vale ancor più per la nostra economia che ha registrato per ora solo un rallentamento della contrazione dell’attività produttiva e intravvede prospettive di ulteriore miglioramento nella parte finale dell’anno. In queste condizioni saranno le scelte di politica economica che verranno compiute nei prossimi mesi a determinare un possibile ritorno alla crescita dell’economia italiana.
A sostegno del mercato e della domanda interna, innanzi tutto, ove è necessario intervenire sia sulle imprese per rafforzarne la fiducia e incentivarle a investire sia sulle banche perché siano spinte a erogare più credito a aziende e consumatori. Vi sono poi le decisioni importanti sui capitoli già aperti (Imu, Iva, Cassa integrazione in deroga, esodati); ma l’appuntamento decisivo sarà tra qualche settimana quando si dovrà varare la Legge di Stabilità per il 2014, da sottoporre al vaglio preventivo delle autorità europee. È in quest’ambito che si dovrà contemperare la tenuta dei conti pubblici con le necessarie misure di rilancio dell’economia, tutto ciò nel rispetto di inderogabili principi di equità nella ripartizione dei costi d’aggiustamento. E solo un governo e una maggioranza con un pieno mandato potranno assolvere tali compiti.
Una crisi di governo, viceversa, e il caos politico che ne seguirebbe renderebbero vana ogni speranza di ripresa. La nostra economia verrebbe risucchiata nuovamente in una situazione di ristagno e recessione. E non solo. Perché il rischio è di vanificare anche i progressi realizzati negli ultimi due anni in tema di struttura e andamento dei nostri conti pubblici, costati pesantissimi sacrifici a tutto il paese, e ai più deboli in particolare. Anche perché costituisce tuttora una minaccia il legame perverso esistente tra crisi del nostro debito sovrano e condizioni del sistema bancario.
Ma le chiavi della ripresa – come si è detto – sono anche nelle decisioni che verranno o meno prese in Europa e nell’area dell’Euro. Il miglioramento delle condizioni congiunturali in Europa è anche dovuto all’allentamento delle politiche di austerità, verificatosi negli ultimi mesi. È un dato positivo, ma non basterà certo a trasformare la ripresa in una crescita solida e stabile per i Paesi europei. Per questo servono decisi passi avanti nelle politiche di integrazione, a livello fiscale e finanziario innanzi tutto. E serve un deciso rilancio del ciclo di investimenti da portare avanti a livello europeo. Ma in vista delle elezioni tedesche si è fermato tutto. Tra ottobre e dicembre si svolgeranno due Consigli europei che potrebbero varare decisioni e iniziative assai rilevanti, se non decisive, su questi temi. E l’apporto del nostro Paese potrebbe risultare determinante, sempre che il governo e la coalizione che lo sorregge restino in carica.
Esistono dunque – per limitarsi agli aspetti economici – tante buone e fondamentali ragioni per non aprire oggi una crisi di governo. Finirebbe per spegnere ogni possibilità di ripresa economica e genererebbe un insieme di costi assai gravi e pesanti per tutti. Se è vero che anche per Silvio Berlusconi – come ha ripetuto spesso in passato – prima di tutto viene il Paese, ebbene è arrivato il momento di dimostrarlo.