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Quel patto per la ripresa che serve al Paese

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Pubblicato su l’Unità

Il patto per la ripresa siglato alla Festa Democratica di Genova da sindacati e Confindustria costituisce una lista di priorità economiche davvero preziosa in vista dell’appuntamento decisivo di quest’autunno della legge di Stabilità. Allo stesso tempo, il fatto che sia stato presentato proprio alla Festa Democratica potrebbe offrire un’occasione unica per rimettere al centro del confronto precongressuale del Pd, ancora troppo concentrato su nomi e schieramenti, una serie di temi di fondamentale importanza per far uscire l’Italia dalla gravissima crisi in cui è tuttora immersa.
Il documento delle parti sociali denota, innanzi tutto, una piena consapevolezza della fase per certi versi eccezionale che stiamo attraversando. È una crisi che ha assunto contorni addirittura più gravi di quella degli anni 30, proprio perché l’economia italiana è stata una delle più colpite in Europa e il suo stato di salute era già debole prima della crisi. Altrettanto condivisibile è l’enfasi posta nel documento sulla necessità di tornare a crescere per il nostro Paese, visto come una sorta di imperativo categorico, non solo per smaltire l’elevato stock di debito pubblico accumulato, ma per cercare di sanare le forti disuguaglianze sedimentatesi in questi anni.
Sul che fare, il primo obiettivo immediato resta quello di sostenere i timidi segnali di ripresa che si stanno profilando. L’altro è intervenire sui problemi strutturali che ci affliggono da tempo e che sono sintetizzati dal prolungato ristagno della produttività italiana, un fondamentale indicatore dell’efficienza di un sistema economico. È questo d’altra parte l’unico modo per difendere e migliorare i livelli di reddito e benessere del nostro Paese.
Ora, tra la crescita della produttività e quella del sistema industriale esiste una correlazione positiva molto stretta nel nostro Paese, con due implicazioni forti sottolineate dalle parti sociali: la prima è la necessità di fermare la profonda erosione in corso della nostra base industriale. La seconda è che solo il rilancio nei prossimi anni dell’industria e delle politiche ad essa collegate potrà consentire di innalzare la dinamica futura della crescita italiana.
Ciò comporta mettere in campo una molteplicità di interventi che interessano due ambiti ugualmente rilevanti e strettamente intrecciati. Da un lato le politiche volte a rendere più efficiente e modernizzare l’ambiente esterno in cui il sistema produttivo e le imprese operano (sistema fiscale, infrastrutture materiali e immateriali, intermediazione finanziaria, e così via). Dall’altro, quelle volte a incidere direttamente sulla vita delle imprese per superare le debolezze esistenti (ridotta dimensione, diversificazione tecnologico-produttiva, organizzazione e innovazione, internazionalizzazione, mercato del lavoro).
Il documento, in realtà, si sofferma molto di più sul primo insieme di temi, elencando molti suggerimenti e proposte, assai meno sul resto. Del tutto condivisibile, viceversa, è l’indicazione sia di interventi utili a sostenere la domanda sia di politiche cosiddette d’offerta, compresi investimenti a medio e lungo termine, pubblici e privati, in tutta una serie di comparti che potrebbero trasformarsi in nuovi motori della crescita della nostra economia.
Più specificatamente, ai fini di un aggancio della ripresa, tra le proposte avanzate due appaiono fondamentali. Il primo è una riduzione significativa dell’onere fiscale oggi per lo più gravante sul lavoro e sull’attività di impresa, attraverso un intervento sul cuneo fiscale. Si potrebbe così ottenere sia un aumento dei redditi da lavoro sia una riduzione dei costi produttivi delle imprese, due provvedimenti che oltre a rispondere a sacrosante ragioni di equità appaiono in grado di contrastare la forte contrazione tuttora in corso della domanda interna. L’altro è cercare di assicurare maggiore liquidità e credito alle imprese – vessate in questa fase da una stretta creditizia (credit crunch) molto forte e che non accenna ad attenuarsi – riattivando sia i canali bancari sia, soprattutto, canali di finanziamento alternativi. È richiesta per questo un’attenta regia del governo.
Se c’è una critica da muovere, infine, al documento di Genova è quella di aver trascurato il ruolo dell’Europa. È evidente che l’azione di risanamento dei singoli Stati è condizione necessaria ma non sufficiente per la ripresa: senza una spinta collettiva dei Paesi europei verso la crescita non vi sono molte possibilità di un positivo rilancio dei Paesi in difficoltà, come il nostro, a prescindere dai compiti a casa che verranno svolti. Ed è un terreno quest’ultimo in cui le forze sociali devono riuscire a trovare forme di più stretto e efficace coordinamento a livello europeo, per poter sperare di incidere assai di più di quanto – molto poco in verità – abbiano fatto finora.