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La costruzione di un’altra Europa è possibile

Pubblicato su l’Unità

A cinque anni dallo scoppio della Grande crisi, le prospettive economiche dell’area Euro mostrano un miglioramento, dopo oltre sei trimestri di contrazione. È una significativa inversione di tendenza, ma non sarà sufficiente per una vera uscita dalla crisi.

Per questo è necessario un profondo cambiamento delle politiche economiche fin qui seguite, unitamente a un rilancio dell’integrazione economica e politica dell’Europa. Sta alla forze progressiste proporlo anche in vista delle elezioni europee del prossimo anno che potrebbero sancire nuovi equilibri politici e un rilancio dell’Europa. La crisi europea – va chiarito subito – è parte di una crisi globale, ma è soprattutto il risultato di una terapia inadeguata – le politiche di austerità – discesa da una diagnosi altrettanto sbagliata – quella delle irresponsabilità fiscale dei Paesi più indebitati. Come conseguenza, molti Paesi – e tra questi anche l’Italia – si sono avvitati in un circolo vizioso, in cui aumenti di imposte e riduzioni di spese hanno depresso il reddito e impedito al rapporto debito/pil di ridursi. La prospettiva più realistica – scontato che grazie alla Bce sia stata sventata la catastrofe della fine dell’euro – è un lungo ristagno, con tassi di espansione vicini allo zero. In un tale contesto anche le necessarie riforme strutturali da realizzare nei singoli Paesi rischiano di essere messe in discussione di fronte a forze populistiche ostili al processo di integrazione europea che si stanno rafforzando in molti paesi.
Si può uscire da questa trappola del ristagno e cosa possono fare le forze progressiste? Un’alternativa, in realtà, esiste. Un nuovo ciclo di sviluppo sostenibile nell’area europea richiede a medio termine significativi incrementi della produttività, che a loro volta richiedono una forza lavoro più istruita, un contesto produttivo più favorevole all’innovazione e alle energie rinnovabili, riduzione delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito, infrastrutture più efficienti. Per realizzarle non bastano politiche di rigore, pur se necessarie; servono riforme strutturali nei singoli Paesi unite a investimenti a medio e lungo termine, pubblici e privati, in tutta una serie di comparti (istruzione, ricerca, digitalizzazione, mobilità sostenibile, e altre) che possono trasformarsi in nuovi motori della crescita sostenibile.
Per realizzarli occorrono nuove risorse, pubbliche e private, Si possono trovare, volendolo. Introducendo ad esempio la golden rule  negli accordi sulle politiche di rigore (come il Fiscal Compact), modificando regolamentazioni finanziarie europee e internazionali che oggi premiano la vista corta della speculazione finanziaria, e ancora ristrutturando la spesa pubblica, con riduzioni della spesa corrente e più spese in conto capitale per la sviluppo. Si tratta di riaffermare un delicato giusto equilibrio tra mercato e fornitura di beni pubblici. La prolungata fase del liberismo ideologico e della globalizzazione senza regole ha spezzato tale equilibrio, generando crescenti instabilità, disuguaglianze e una eccessiva concentrazione del potere economico e finanziario nelle mani di una ristretta élite.
Per tutto questo è necessaria più Europa, ovvero il rilancio dell’integrazione, a livello bancario e fiscale innanzi tutto, così da creare un’unione economica e monetaria, con una governance più solida e meno dipendente dai rapporti tra governi nazionali. E, in prospettiva, una vera unione politica, presupposto di una rinnovata solidarietà tra i paesi membri. Non sarà facile in un’era di euroscetticismo crescente. Ma è un dato di fatto che gli Stati nazione europei non hanno più gli strumenti adeguati per governare le loro economie, perché troppo piccoli nella nuova economia-mondo. E se vogliamo un rilancio del modello dello Stato sociale questo sarà possibile solo in un’ottica europea. Per questo è importante un rafforzamento dei meccanismi democratici e rappresentativi in Europa.
Sono queste le proposte che le forze progressiste europee devono mettere al centro del loro programma, in alternativa alla cura fallimentare dei governi conservatori e in vista delle elezioni europee nel prossimo anno. Per il nostro Paese è vitale appoggiare un tale percorso di cambiamento, dal momento che il rilancio della nostra economia è legato al futuro dell’Europa e dell’euro. Certo non l’Europa degli ultimi anni: in profonda crisi, divisa fra Paesi creditori e debitori, e che ha visto aumentare disoccupazione, disuguaglianze e povertà. Serve in realtà un’Europa più integrata e solidale, che sappia offrire benefici e opportunità e non solo vincoli e sacrifici. È un’impresa difficile ma alla nostra portata. Bisogna far presto, però, visto che la disoccupazione continua a crescere a tassi esponenziali e così il numero di giovani in cerca di occupazione in Europa.