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Per una ripresa italiana in Europa

Pubblicato su  l’Unità

Il voto di rinnovata fiducia al governo ha creato di fatto una maggioranza politica più coesa e condizioni politiche in grado di rafforzare la capacità di decisione dell’esecutivo.
Si tratta di una novità importante. In particolare sul fronte della politica economica.

Perché a metà mese, con la presentazione della legge di Stabilità, si prospetta un appuntamento che senza mezzi termini può essere definito decisivo. Soprattutto per indirizzare la fase di transizione attraversata oggi dalla nostra economia verso l’obiettivo prioritario di agganciare la ripresa europea e internazionale. A condizioni date le probabilità che ciò si verifichi sono davvero minime. E’ dunque necessario muoversi con decisione e su più fronti: su alcuni con una forte accelerazione e su altri con un risoluto cambio di passo.
I mali di cui soffre l’economia italiana li conosciamo bene e da tempo. Gli ultimi cinque anni di crisi li hanno ancor più aggravati. Generando, da un lato, una prolungata intensa recessione dovuta per lo più al crollo della domanda interna (è il cosiddetto “output gap”) e un ulteriore deterioramento, dall’altro, della nostra già modesta capacità di crescita (il cosiddetto “prodotto potenziale”). Per poterli contrastare serve un insieme articolato di misure dirette a intervenire sulla domanda aggregata ma ancorate alla creazione di nuovi veri e propri volani della crescita, attraverso politiche d’offerta in grado di rafforzare l’indebolita capacità produttiva della nostra economia.
A livello interno per esercitare un’azione di stimolo sulla domanda aggregata va reso centrale un percorso di riduzione del carico fiscale su lavoro e imprese che porti – come invocato da più fronti – a significative riduzioni sia del prelievo sui redditi da lavoro medio-bassi sia della tassazione delle imprese. Un percorso da graduare nel tempo, naturalmente, considerate le ingenti risorse da mobilitare ma che, unitamente agli interventi da proseguire e possibilmente da accelerare in termini sia del pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione sia delle garanzie sui prestiti alle imprese, potrebbe segnare da subito una discontinuità nella direzione di marcia fin qui seguita, in termini di efficienza e di equità allo stesso tempo.
Ma sostenere la domanda, per quanto necessario, non sarà sufficiente. La lunga perdurante crisi ha prodotto anche danni strutturali, dal momento che la caduta degli investimenti e della occupazione hanno ridotto la già di per sé modesta capacità di crescita potenziale della nostra economia. Essa è oggi scesa al tasso annuo dello 0,5 per cento e rischia così di rendere di fatto impraticabile quel processo di consolidamento del debito pubblico che è un nostro impegno nei prossimi anni. Per un diverso scenario servono riforme di lunga portata – come sappiamo da tempo – per modificare i rigidi meccanismi di allocazione delle risorse esistenti e ridurre i costi eccessivi oggi sopportati dal nostro sistema produttivo. Anche in questo caso si tratterebbe di varare prime significative misure, comprese politiche industriali e interventi a medio e lungo termine in una serie di comparti da trasformare in nuovi volani della crescita. Costituirebbe un messaggio di discontinuità rispetto a un passato, più o meno recente, in cui si è di fatto rinunciato a progettare il futuro.
Le risorse necessarie per il finanziamento si potrebbero trovare attraverso un’azione ad ampio raggio basata sul riordino della spesa pubblica e la riduzione di quella improduttiva, e su una serie di misure straordinarie di riduzione del debito imperniate sulla valorizzazione del patrimonio pubblico, coinvolgendo in alcuni ambiti anche i capitali privati. Esistono molte proposte in merito. Infine, con questa rinnovata serie di misure inserite nella legge di Stabilità si potrebbe aprire con qualche speranza in più di successo il negoziato con la Commissione europea per ottenere maggiori spazi nel bilancio pubblico per investimenti e spese per lo sviluppo. Ciò che finora ha messo per noi sul tavolo Bruxelles è davvero poco e potrebbe essere significativamente rivisto anche approfittando delle concessioni offerte ad altri paesi che versano in condizioni assai peggiori delle nostre.