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La vera posta in gioco di questa campagna elettorale

Pubblicato su L’Unità

Si è parlato ben poco d’Europa in questa campagna elettorale. Eppure l’esito del voto di oggi potrebbe risultare sotto molti aspetti decisivo per il futuro dell’Europa e della sua economia in particolare. Innanzi tutto perché si voterà una sorta di referendum. Un referendum pro o contro l’Unione europea, per la presentazione di un variegato insieme di liste apertamente antieuropeiste. E, poi, perché si dovrà scegliere quale Europa costruire nei prossimi anni. Dal voto può uscire una chiara indicazione a sostegno di quelle forze progressiste – come il Partito socialista europeo e il Partito democratico in Italia – che propongono per l’Europa, dopo gli anni del rigore fine a se stesso, una decisa svolta verso politiche economiche di rilancio della crescita e dell’occupazione.
Una prima sfida decisiva in queste elezioni deriva dal ritorno della minaccia del nazionalismo e del populismo per il futuro dell’Europa. Profondamente eterogenei, i movimenti e partiti di protesta – da noi il Movimento 5 Stelle – hanno un unico punto in comune ed è il sentimento antieuropeo. Una sorta di profonda avversione nei confronti non solo delle istituzioni europee ma dei principali diritti e valori fondanti l’Europa. In prima fila la guerra contro l’euro, a cui sono attribuite, in modo confuso e strumentale, tutte le cause della drammatica crisi in corso.
Certo, la maldestra gestione della crisi da parte dei governi nazionali, in larga parte conservatori, che non va dimenticato hanno dominato le scelte del Consiglio europeo in questi anni, ha fortemente contribuito alla crescita del populismo. Ma è altrettanto evidente che un successo elettorale dei partiti dell’antieuropeismo – incluso il movimento di Grillo nel nostro paese – rappresenterebbe un fattore di destabilizzazione in tutta Europa. Pressoché certa sarebbe l’esplosione di nuove virulente crisi finanziarie, dal momento che la crisi dell’euro non è finita. Il brusco aumento degli spread e la caduta delle Borse europee in quest’ultima settimana ne hanno offerto un’ulteriore allarmante conferma. Se poi si arrivasse a quella che viene contrabbandata come la panacea degli attuali mali delle economie europee ovvero la confusa uscita di uno o più paesi dall’euro, ci troveremmo a fronteggiare in realtà la madre di tutte le crisi finanziarie, una vera e propria tragedia economica.
La seconda sfida altrettanto importante nelle elezioni di oggi riguarda quale Europa vogliamo costruire. Per molte economie dell’area euro – inclusa la nostra – a una maggiore stabilità finanziaria si associa in questa fase una fragile ripresa con la prospettiva di un prolungato ristagno, che renderebbe oltremodo difficile ridurre i livelli record della disoccupazione, soprattutto giovanile. In questo caso i cittadini elettori dovranno scegliere tra le diverse proposte dei partiti tradizionali europei, e in particolare delle due più grandi famiglie politiche, quella dei socialisti e democratici (S&D), di cui fa parte il Partito democratico, guidata da Martin Schulz e l’altra del partito popolare europeo (Ppe), guidato da Jean-Claude Junker che raggruppa i partiti conservatori, da noi Forza Italia, Nuovo Centrodestra e Udc. Junker propone per il Ppe una sostanziale continuità con le politiche economiche di austerità e riforme strutturali fin qui adottate. Nel ritenere che in fondo abbiano ben funzionato, auspica solo marginali correzioni di rotta, in termini di un maggiore coordinamento e flessibilità nella loro applicazione. Molto diversa è la ricetta economica del socialista Martin Schulz. Nel ribadire come essenziale la dimensione di uno spazio economico unificato e una moneta unica per l’Europa, essa propone una vera e propria svolta nella strategia di politica economica europea, fuori dall’austerità e in direzione di politiche di rilancio della crescita e dell’occupazione. Ora c’è chi vorrebbe ridimensionare questo confronto elettorale tra progressisti e conservatori in Europa sostenendo che il più o meno scontato successo delle liste antieuropeiste renderà alla fine necessaria la formazione di uno schieramento ‘bipartisan’ imperniato su socialisti e popolari, così da riconsegnare le chiavi delle scelte nella mani dei governi nazionali e impedire qualsiasi vero cambiamento nelle scelte di politica economica. Ma non è affatto scontato un esito del genere. Molto dipenderà proprio dagli elettori e dal voto di oggi. In primo luogo perché potranno bocciare il referendum populista contro l’Europa e ridurre così fortemente nel Parlamento europeo lo spazio dei vari ‘Grillo’ anti-europei. E, poi, perché votando le forze progressiste potranno contribuire alla formazione di una Commissione europea rinnovata e guidata da un esponente di punta del partito socialista europeo come Martin Schulz. Dopo i due disastrosi mandati di un rappresentante del Ppe come Manuel Barroso e una Commissione e un Consiglio dominati dai governi conservatori, un rinnovato equilibrio nelle istituzioni europee rappresenterebbe un segnale di cambiamento politico importante e, soprattutto, potrebbe favorire una svolta delle politiche economiche nella direzione auspicata. Per la nostra economia – è scontato aggiungere – sarebbe un “assist” fondamentale. Altro che elezioni di “secondo ordine”, dunque, quelle europee di oggi, vista la posta in gioco così elevata.