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La doppia sfida sull’economia

Pubblicato su L’Unità 

La posta in gioco del nuovo governo è davvero alta. Se non riuscirà a riformare il Paese il declino dell’Italia potrebbe divenire inarrestabile. La sfida è duplice: le riforme istituzionali e la ristrutturazione dell’economia. Due piani strettamente intrecciati che richiedono al governo Renzi una agenda snella e fatta di chiare priorità. Sul piano economico la strada è obbligata: il problema atavico del nostro indebitamento pubblico va affrontato attraverso il rilancio a pieno ritmo della crescita. Se il ristagno dovesse perdurare, non vi sarà modo di contenere il debito italiano e la sua ristrutturazione (default) diverrebbe inevitabile. E qui c’è un primo problema che il governo e il nuovo ministro dell’economia Padoan dovranno affrontare: l’anemia della ripresa in corso, attestata su dinamiche assai modeste intorno allo 0,5%, molto al di sotto dell’1,1% previsto nella legge di stabilità approvata a dicembre. Per accrescere la flebile ripresa servono due ordini di misure, in qualche modo complementari: fornire sostegno a breve termine alla domanda aggregata (consumi e investimenti), e incidere, nel medio periodo, sulle debolezze strutturali che limitano la capacità di crescere.
Tra le prime potranno essere attuati provvedimenti per cercare di allentare la stretta creditizia, dal momento che non sarà possibile tornare a crescere se non si rilancia l’offerta di credito all’economia. Occorre ricapitalizzazione delle banche e allargamento della piattaforma di garanzie pubbliche per l’accesso al credito di imprese e famiglie. A ciò deve aggiungersi un’intensificazione del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, più che raddoppiando i 22 miliardi di arretrati saldati fin qui. In terzo luogo, attraverso la modifica del patto di stabilità interno degli enti locali, si può sbloccare un consistente flusso di investimenti e spese in conto capitale, in particolare dei Comuni, con un positivo grande impatto moltiplicativo a breve sull’economia reale. Sul secondo versante – ovvero i fattori strutturali che frenano la crescita – le riforme da attuare sono note da tempo. Bisogna affrontarle con determinazione e in un certo ordine. Il dato positivo è che Renzi ha già annunciato tre di queste riforme (un piano globale del lavoro; la semplificazione e ristrutturazione organizzativa della pubblica amministrazione; la riforma del sistema fiscale, con un forte taglio del cuneo a favore di imprese e lavoratori) come altrettante priorità dei primi cento giorni. Le prime consistenti risorse per finanziare tali misure potranno derivare dalla «spending review» e da un aumento del prelievo sulle rendite finanziarie, unitamente ai proventi della lotta all’evasione. Staremo a vedere, anche perché i tempi annunciati per tali interventi appaiono assai stretti. E dettati più che altro dalla partita altrettanto importante che si giocherà in Europa, ove c’è da rinegoziare il rapporto tra spazi di crescita e rigore finanziario. Una rinegoziazione che, sfruttando la guida italiana del semestre europeo, appare inevitabile se si vorrà far ripartire la crescita. La sfida è duplice. Da un lato, si tratta di sfruttare tutti i margini di flessibilità consentiti dalle regole europee attraverso lo scambio bilaterale tra attuazione delle riforme e allentamento dei vincoli delle politiche di aggiustamento («accordi contrattuali»). A questo riguardo è positivo che l’Eurogruppo e la Commissione si siano espresse di recente a favore di tali accordi. Dall’altro è necessario promuovere in alleanza con gli altri maggiori paesi un nuovo corso di politica economica soprattutto su tre fronti: il completamento dell’Unione bancaria; l’introduzione di meccanismi di aggiustamento macroeconomico simmetrici tra paesi debitori e paesi creditori (innanzi tutto la Germania); il completamento del mercato interno europeo sul fronte dei servizi, unitamente a investimenti europei da finanziare in comune in una serie di servizi e aree strategiche. C’è oggi in Europa una più forte consapevolezza di queste necessità per evitare che in assenza di cambiamenti diventi inarrestabile il successo di movimenti e forze antieuropee a partire dalle prossime elezioni europee. Starà dunque all’Italia e al suo nuovo governo assumere un ruolo propulsivo. Ne va del futuro del nostro paese.