Pubblicato su L’Unità
Per trasformare la fragile ripresa della nostra economia in una vera fase di crescita servono politiche e riforme sul piano domestico. Ma un ruolo fondamentale lo avrà anche l’Europa. Un’Europa che, così com’è, non funziona. E la recente sentenza della Commissione europea che ci ha declassato al rango di «sorvegliati speciali» ne è una ulteriore conferma. Compito del governo Renzi sarà rispondere contribuendo a promuovere una svolta in Europa, anche utilizzando il semestre italiano di presidenza Ue.
A pochi mesi dalla fine del suo mandato la Commissione europea ha inserito l’Italia in un ristretto gruppo di Paesi che registrano squilibri economici così rilevanti da rappresentare una fonte di contagio per l’intero sistema europeo. Ora, che l’elevato stock di debito pubblico e il deficit di competitività rappresentino da tempo problemi seri per il nostro Paese e che vadano affrontati con maggiore determinazione rispetto al passato è un dato di fatto. E si può accettare che, per tutelare gli interessi e la stabilità del sistema europeo nel suo complesso, rientri tra i compiti della Commissione la facoltà di intervenire e prescrivere specifiche misure correttive nei confronti di un Paese membro che non voglia e/o non sia in grado di adottare i necessari processi di aggiustamento. Riconosciuto tutto ciò, risulta allora incomprensibile – o spiegabile solo in termini di meri rapporti di forza – perché la Commissione, nella stessa procedura, abbia dedicato solo generici commenti all’enorme surplus commerciale tedesco e non abbia incluso anche la Germania tra i Paesi “sorvegliati speciali”. L’avanzo commerciale tedesco rappresenta da tempo – come riconosciuto dalla maggioranza degli economisti e degli osservatori internazionali – la più preoccupante fonte di squilibri nell’area euro: è oggi il più elevato nel mondo, avendo superato il 7 per cento in termini di Pil lo scorso anno e si situa molto sopra quella soglia massima tollerata dalle nuove regole di governance europea. Tanto più che aggiustamenti più simmetrici all’interno dell’area euro, in grado di meglio distribuire il peso e i costi dell’aggiustamento tra Paesi in deficit e Paesi in surplus, rappresentano una sorta di condizione necessaria sia per contrastare il ristagno-deflazione sia per un consolidamento del debito dei Paesi dell’Eurogruppo.
In realtà, molti altri esempi potrebbero essere portati a conferma del fatto che la fallimentare gestione della crisi europea – due fasi recessive in cinque anni – sia dovuta proprio alla mancanza di una strategia d’insieme da parte della Commissione e delle altre autorità europee di politica economica. Sono state somministrate politiche economiche (l’austerità) che hanno guardato l’area euro come la semplice somma di Paesi e non come un sistema, fatto di interdipendenze macroeconomiche complesse. Ne è una riprova la costante negazione dei problemi di domanda aggregata esistenti nell’area euro, nonostante l’evidenza di un crescente ed elevato grado di capacità produttiva inutilizzata. Continuando così, a rischio è il futuro dello stesso processo di integrazione.
È dunque necessario promuovere una stagione nuova in Europa, che si affermi anche attraverso un cambiamento profondo e radicale delle politiche economiche fin qui seguite. Assai importante al riguardo sarà il risultato delle elezioni europee del 22-25 maggio col confronto tra i due candidati a guidare la prossima Commissione – Jean-Claude Junker per il Partito popolare europeo e Martin Schulz per i socialisti e democratici – animati da programmi e proposte sulla carta assai diversi, di sostanziale continuità con l’approccio fin qui adottato il primo e di evidente discontinuità il secondo. Con la terza incognita rappresentata dalla variegata galassia dei movimenti antieuropei e del «fronte del rifiuto» che continuano a crescere nei sondaggi.
È in questa complessa fase evolutiva attraversata dall’Europa che dovrà inserirsi la risposta del governo Renzi alla sentenza di declassamento emessa dalla Commissione. Innanzi tutto è meglio evitare qualunque tono di sfida e/o confronto muscolare che non servirebbe a incidere a Bruxelles. Serve in realtà una strategia fatta di iniziative che si muovano su tre piani. A brevissimo termine, ovvero già dalla prossima settimana, c’è da approvare e mettere in atto la serie di misure in calendario, a sostegno della domanda, in tema di cuneo fiscale, edilizia scolastica, mercato del lavoro, rimborso dei crediti della pubblica amministrazione, tenendo conto che alla decisione della Commissione non deve essere fatta seguire alcuna manovra correttiva. Di qui a due mesi, alla fine di aprile, ci sarà da presentare in Europa il programma nazionale di stabilità e quello di riforma, che dovranno contenere le misure dirette a incrementare la crescita potenziale e un corposo insieme di riforme atte a sostenerlo. Il compito più importante, anche per poter trattare da una posizione di forza con la Commissione, sarà legare gli aspetti del quadro di stabilizzazione macroeconomica con quelli del piano di riforme e delle misure strutturali. Tenuto conto che in passato questo collegamento è stato realizzato solo parzialmente.
La terza fase sarà quella del semestre italiano di presidenza dell’Europa. La nostra ambizione deve essere rilanciare una visione dell’integrazione europea alternativa al ristagno generato dalle politiche di austerità, scommettendo su un nuovo ciclo di crescita sostenibile. Perché ciò avvenga sono necessari, unitamente alle riforme strutturali, nuovi investimenti, europei e nazionali, a medio e lungo termine, pubblici e privati. Le altre priorità si chiamano completamento dell’Unione bancaria e avvio di una capacità fiscale autonoma dell’area euro. Nel complesso, serve un insieme di azioni in grado di realizzare quella svolta di politica economica che consenta all’Europa di ritrovare un’iniziativa politica, prima che sia lo scoppio di una nuova crisi ad imporla.